Sono passati tre anni, eppure ricordo ancora chiaramente il momento in cui ho capito che dovevo chiudere quella porta per sempre.
È successo tutto in fretta. Ho fatto le valigie e il giorno dopo ero momentaneamente parcheggiata dai miei genitori. E a dirla tutta, avevo fatto le valigie già due volte, ma avevo retto sì e no 2 giorni, per poi ritornare in quella casa che ormai mi sembrava un girone infernale. Mi svegliavo la mattina e mi sentivo oppressa. Era una sensazione brutta. Non ero felice. E i primi tempi non ne capivo il motivo. Avevo un bambino meraviglioso, una casa, un lavoro decente, un uomo accanto che tutto sommato mi voleva bene. Ma ci si può accontentare del tutto sommato?
Cosa c’era dietro quella parola che mi tormentava ogni notte e che non mi abbandonava neanche di giorno?
Va bene essere riconoscenti per quello che si ha, ma se dentro senti un vortice di emozione pronte ad esplodere, probabilmente, c’è qualcosa che va analizzato. Dopo la nascita di mio figlio, qualcosa dentro di me era cambiato per sempre. Lui veniva prima di tutto. Avevo giurato in tempi non sospetti che se mai avessi avuto un figlio, non lo avrei mai fatto crescere in un ambiente litigioso e disfunzionale. Sapevo cosa significava crescere in una guerra perenne e lancinante, cosa si prova, come ci si sente. Bastavo io ad aver sofferto. Volevo chiudere il cerchio con me. Non doveva diventare un continuum di errori famigliari che si ripetevano.
Eppure, in un secondo ambiente litigioso e poco felice, mi ci ero infilata con tutte le scarpe. Ho trascorso 8 mesi a chiedermi cosa diavolo succedesse nella mia testa, i motivi della mia tristezza. Nessuno poteva aiutarmi se non io. E non trovavo il bandolo della matassa. C’era solo un enorme gomitolo, senza senso, completamente annodato. Ma sapevo che alla fine, avrei sciolto quella matassa e il magone che c’era dentro di me. Si trattava solamente di aspettare il momento in cui, tutto sarebbe stato più chiaro. Quando ti svegli la mattina ti guardi intorno e ti chiedi “cosa diavolo ci faccio io qui?”, è il momento di sedersi e osservare la realtà per quello che è realmente, non per come ce la siamo costruita in testa.
Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Ero cambiata, pressata dalla vita famigliare, da un compagno molto forte caratterialmente, che non mi faceva essere me stessa.
Una mattina di giugno mi svegliai, preparai il biberon, e osservai dalla finestra le persone nella piscina del comprensorio: erano felici.
Mio figlio ero piccolo e ne stava già sentendo troppe. Decisi che avrei dato a lui e a me una possibilità per vivere una vita felice.
Due mesi dopo, ero tornata a casa mia. E di lì a poco, sarebbe iniziato l’inferno della separazione. Ma questo ancora non lo sapevo. Ho fatto una scelta di cuore, sentendo solo quello che reputavo giusto per il mio bambino. Poi il resto lo sappiamo tutti. La separazione è un’esperienza che non auguro neanche al mio peggior nemico. Una guerra di troia con tutte le strategie del caso: avvocati pronti alla guerra, ripicche, minacce. Di tutto di più.
Sono passati tre anni ormai. E diciamo che alla fine, questa tempesta l’ho attraversata. Ora sono in viaggio con uno scirocco che improvvisamente può trasformarsi in tempesta, ma ormai so come raggirarla e andare a vele spiegate versi mari più tranquilli..
Tutti noi separati, pensiamo sempre (o forse speriamo) che le persone a noi vicine possano capire quello che abbiamo passato. Ma la verità è che non lo capiranno mai. Ci devono essere state dentro in tutto e per tutto. Devono aver attraversato lo stupore, le lacrime, la sofferenza, la rabbia, la tristezza e tutte le emozioni che contraddistinguono il periodo della separazione. C’è chi si trova subito un rimpiazzo, e fa anche bene. Io non l’ho fatto. Non ci sono riuscita. Ero, e sono troppo concentrata sulla felicità di mio figlio per pensare a un nuovo compagno. O forse ancora troppo traumatizzata. Arriverà, se dovrà arrivare, altrimenti diventerò ufficialmente la gattara della zona, e tanti cari saluti. Ognuno ha i suoi trascorsi e i suoi tempi.
Ma quando abbiamo dei dubbi o della rabbia su quello che ci è successo, ricordiamoci sempre che:
–Abbiamo scelto di essere felici e questo è sintomo di grande coraggio.
–Abbiamo scelto la cosa meno “semplice”, mettendo in conto tutti i sacrifici fisici ed economici che inevitabilmente dovremo fare.
–Abbiamo lottato come matti per mantenere in piedi il nostro rapporto. E quando abbiamo capito che non c’era più niente da fare, abbiamo spento la macchina dell’alimentazione, senza troppi accanimenti terapeutici.
–Abbiamo dovuto sopportare e tenere dentro di noi, molte, troppe delusioni, ma siamo tutti ancora qui. Siamo forti, ragazzi.
– Nonostante le giornate sulla cresta dell’onda, ci facciamo in quattro per rendere felici i nostri bambini, perché noi, diversamente da chi è sposato, ci sentiamo ancora più responsabili nei loro confronti.
–Di conseguenza, siamo più empatici, più sensibili e più compresivi.
Ora, guardatevi tutti allo specchio. Non una. Ma tutte le mattine. Vi sentite degli stracci? Qualche ruga da stanchezza ormai è fisiologica. Gli addominali che sono comodamente seduti su di un leggero strato di grasso ci ricordano che se avessimo tempo (e voglia), forse dovremmo andare il palestra.
Ma andate oltre. Osservatevi per quelli che siete diventati dopo la separazione.
C’è da essere fieri, del percorso che ognuno di noi ha intrapreso. C’è da camminare a testa alta.
Noi, siamo i sognatori che continuano a credere nel lieto fine. E allora non permettiamo a nessuno, di rovinarci questo secondo tempo della nostra vita.
Ce lo meritiamo tutto.