Il nome sul campanello di casa è sempre un indizio inconfondibile sulla vita delle persone.
Passeggiando osservo queste sigle, all’ingresso dei portoni nei palazzi in città, su citofoni arrugginiti e poi riverniciati. Nei quartieri fuori dal centro ci sono spazi fitti fitti di nomi, dove il numero di bambini è maggiore a quello degli adulti e altri, più signorili e in zone sicuramente altolocate, dove il cognome risuona importante, isolato in grassetto nello sfondo bianco. Un po’ come il proprietario. Quando incrocio invece parole straniere, le consonanti sono accostate in modo bizzarro ed escono suoni gutturali, che fanno fare alla lingua acrobazie impegnative anche per i più allenati baciatori. Sorrido ascoltando la mia voce. Fantastico sulle famiglie che vi abitano.
Conosco chi ha tenuto sul campanello il nome di chi ha lasciato quella casa da mesi, ma ancora non riesce a cancellarlo. Non vuole. Come per dire che se lui, dovesse tornare, può sempre sapere che è ancora casa sua e che quella donna, comunque, vuole essere il suo porto sicuro, nonostante tutto quello che ha passato. L’amore per lui è più grande di quello per se stessa.
Conosco chi non ha nome sul campanello, nonostante ci abiti da anni. Non voler lasciare un segno, non voler affermare che si vive in quel posto, quasi a non legarsi a niente e nessuno e tenersi aperta ogni possibilità. Tutti lo sanno, nelle nostre piccole palazzine, ma non prendere la penna e scrivere il proprio cognome fuori dalla porta indica un vivere eccentrico, fuori dagli schemi e la voglia di restare in quel limbo delle infinite possibilità. Non apparire, esserci ma non dichiararlo, tenere aperte tutte le strade possibili, andare o rimanere. L’importante è non essere solo spettatore della propria vita, invece che protagonista.
Conosco chi entra in una nuovo appartamento da solo, cercando di ricominciare in modo indipendente, e sente il vuoto di una casa senza figli che diventa insostenibile se conosci quelle risate, quelle grida, quel calore che scalda il tuo mondo. Una persona con cui chiacchierare la sera, una cena da condividere, qualcuno che aspetta il tuo bacio della buonanotte. Abitudini di una famiglia che ormai non c’è più e di cui si mantiene solo il cognome sul campanello e un vaso sempreverde sul pianerottolo.
L’amore delle donne è strettamente legato alla casa.
I cambiamenti familiari si rispecchiano in traslochi, spostamenti di mobili su e giù dalla cantina o acquisti compulsivi di nuovo arredo che serve soprattutto per alimentare quel senso di novità e di freschezza di cui noi abbiamo spesso bisogno. Per sentirci meglio, per il gusto del bello, per ravvivare questo nostro nido. Devo aver cambiato la disposizione degli oggetti in questo appartamento almeno un milione di volte, con risultati spesso sorprendenti, sfruttando ogni centimetro e trovando la giusta collocazione delle cose anche solo appoggiandole qualche metro più in là. Come un puzzle dove tutto magicamente trova il suo posto, a volte vorrei poter sistemare così anche la mia vita. Sempre sotto gli occhi attenti dei miei figli che hanno imparato ad usare chiodi e martello e che sentendomi spostare oggetti da una stanza all’altra ormai non fanno più domande ma si rimboccano solo le maniche. Mamma, dove vuoi che ti aiuti a portare il letto questa volta? Perché si può dormire in cucina e mangiare in camera, se lo vogliamo veramente. E mettere i vestiti negli scaffali e i libri nel frigorifero giallo che non funziona più. Io lo faccio senza remore e senza paura del giudizio altrui. Qui abbiamo le nostre regole, che abbiamo trovato stando insieme ogni giorno. Ci permettono di farci prendere a testa alta quello che la vita ci offre e di affrontarlo con lo spirito solare che ci contraddistingue e la capacità di vedere la realtà da ottiche non convenzionali.
Ricominciare nella vita per me ha significato anche trovare questa nuova abitazione dove provare a star bene di nuovo e far sentire i miei figli al sicuro. Ho rinunciato alla casa che mi spettava di diritto perché era in un contesto familiare diventato troppo difficile. Non che qui tutto sia assolutamente idilliaco, ma almeno tra queste mura mi sento libera di essere me stessa e questa cosa non la cambierei con nessuna altra al mondo. Qui rido, sogno, piango a dirotto e riparto più energica di prima. Nel marasma che ho attraversato, almeno ho potuto ricominciare da zero, e non nella vecchia casa familiare così piena di ricordi. Non credo sia facile continuare a vivere con un mutuo da pagare tra progetti di coppia che sono rimasti sulle spalle di uno solo. Allo stesso modo conosco la difficoltà nel ripartire con una vita da reinventare e l’affitto al venti del mese. Sono due facce di una stessa medaglia che passa attraverso il luogo che più di tutti simboleggia la famiglia: la casa frutto di un progetto condiviso.
Il mio campanello è piuttosto bizzarro. Sopra c’è il mio nome e cognome e sotto le iniziali dei nomi dei miei figli seguiti dal cognome del padre. Uno spazio angusto strabordante di parole. Un insieme di sigle e punti degni della migliore soap opera, visto che sono l’unica in famiglia che porta un nome italiano. Osservando questo campanello, si può capire che è la casa di una madre single, ma credo che nessuno in verità ci faccia caso. Come tante altre cose che di me sfuggono alle persone che incontro ogni giorno, ma che in verità si possono intravedere attraverso gli occhiali da sole e questo sorriso che indosso ogni mattina. Ma gli individui che veramente vogliono sapere qualcosa di noi, come ci sentiamo nel profondo, sono davvero pochi e chi si accorge dei piccoli particolari nelle vite degli altri è davvero raro e prezioso. Sono solo queste le persone che possano ora entrare nella mia casa, nella mia vita e nel mio, fin troppo fragile equilibrio quotidiano, in punta di piedi e ben attente a non calpestare i miei sogni