1 Settembre 2018

Quante altre vittime innocenti dovranno esserci?

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femmincidioQuante altre vittime dovremo vedere sui fogli dei giornali e ai notiziari della sera? Quante altre creature innocenti dovremo ricordare per non avere aperto gli occhi?

La notizia di Cisterna Latina, la brutale aggressione ai danni dalla moglie,  la barbara uccisione delle figlie da parte dell’appuntato dei Carabinieri Luigi Capasso, è l’ennesima dimostrazione che la violenza contro le donne continua ad insinuarsi tra le pieghe della società. Tra le famiglie normali, quelle per bene, fatte di due genitori che lavorano, fanno i sacrifici e portano i regali alle figlie.

Poi, un giorno succede che la moglie decide di chiedere il divorzio. Magari perché è stanca di subire vessazioni, violenze psicologiche, fisiche e verbali. Succede che va in caserma e chieda che qualcuno la tuteli, perché teme per lei e per le sue figlie. Racconta di “avere paura”. Ciò nonostante, continua la sua vita, tra il lavoro e gli impegni delle bambine, con la speranza che le sue intuizioni, siano solo frutto di qualche pensiero esageratamente eccessivo.

E poi cosa succede? Il marito di turno non ci sta. Non vuole rinunciare alla propria donna, perché lei è sua e non è di nessun altro. E’ un oggetto che gli appartiene. Così come gli appartengono le figlie, sue proprietà. Non gli interessa che siano due innocenti, la cui infanzia dovrebbe essere colorata dai colori sgargianti dei vestiti delle bambole. Non gli interessa che sognino di andare via dalla provincia per coronare i loro desideri. Non gli interessa vederle fiorire e diventare donne. No. Gli interessa solo di lui. Di quell’odio indescrivibile che prova e che proprio non riesce a controllare. Quell’odio insano, malato, radicato tra il suo cuore e la sua mente,  che lo porta a macchinare una sorta di ritorsione vendicativa proprio verso colore che dice di amare. Devono pagare tutti. O stai con me o stai contro di me. O vivi con me oppure preparati e morire.

E così una mattina di fine febbraio a Cisterna di Latina succede che questo marito si presenta sotto casa della moglie. E’ un carabiniere, la Beretta è già carica tra le sue mani e con tre spari colpisce la donna al volto, alla mandibola e al petto. Poi sale a casa e si barrica con le due figlie, di sette e tredici anni.  A quel punto la moglie quasi in fin di vita viene soccorsa dai vicini di casa e dice a chiare lettere “è stato mio marito”. Gli elicotteri iniziano a volare intorno alla palazzina dell’orrore, decine di carabinieri, poliziotti e persone comuni sono raccolti per strada in attesa che qualcosa succeda. Poi, dei Carabinieri “negoziatori” escono nel balcone attiguo all’appartamento in cui l’uomo si è barricato e cercano di farlo ragionare. Gli dicono di stare tranquillo, di non fare del male alle sue bambine. Ma ormai non c’è più niente da fare. Poco lucido e fuori di se, entra dentro l’appartamento. Un tonfo sordo, i carabinieri che fanno irruzione nella casa dopo che le trattative si erano interrotte da circa un ora. I due corpicini delle bambine sono lì, freddi e immobili, raggomitolati nel loro letto delle principesse. Sono passate dal sonno alla morte. Lui si è suicidato.  Colui che le avrebbe dovute proteggere da tutti è stato proprio quello che le ha ammazzate. Chissà cosa avrà pensato la moglie quando se l’è trovato davanti come una furia impazzita. Non ci sono parole per descrivere quello che è successo, ho il cuore ridotto a brandelli, un terribile stato di confusione e una domanda che riecheggia forte dentro di me: Perché?

Perché,  nonostante negli ultimi anni ci sia stata una colossale campagna di sensibilizzazione nei confronti della violenza famigliare, sono costretta ancora una volta a parlare di una terribile tragedia? Forse non basta. Forse non basta una legge anti-staking per dire “stiamo risolvendo il grande problema sociale della violenza di genere”. Sapete perché non basta?

Perché se vai dai carabinieri ti dicono che devi portare delle prove. Che senza prove non puoi denunciare il tuo aguzzino. Che tanti fanno i matti ma poi, al di là di minacce a parole non avranno mai il coraggio di premere il grilletto. O di buttarci l’acido sul viso. E io invece vi dico che questo coraggio ce l’hanno eccome. Che chi tratta la donna come un proprio oggetto, è probabilmente un uomo violento, che non si fermerà a dirci “troia di merda” o “io ti ammazzo”. Prima o poi presi dai loro deliri potrebbero davvero trovare il coraggio di farci del male. A noi e forse, chissà, anche ai nostri figli.  Che tutto questo atteggiamento garantista è complice. Che la colpa è di un sistema che non tutela assolutamente le donne che subiscono violenze. Devo finire in ospedale con l’occhio nero, per essere ascoltata? Devo dimostrare che il mio ex mi tortura con messaggi minatori e minacciosi? Devo arrivare con l’acido sul viso per essere ascoltata? E forse, visto quello che apprendiamo dai giornali, non basta neanche questo.

Beh, io non ci sto. Io non voglio essere considerata solo quando ormai è troppo tardi. Voglio invece, uno stato che protegga le donne prima  che sia troppo tardi. Che alla prima denuncia, si mobiliti al fine di evitare epiloghi drammatici. E soprattutto che non le lasci sole, perché la grande paura, non è solo trovare la forza di denunciare, ma anche di affrontare il “dopo” con l’aguzzino che ti perseguita e ti minaccia. E voglio leggi. Leggi che agiscano prima di arrivare a  vedere due corpi martoriati di due anime innocenti.  Il resto, per quanto mi riguarda, sono solo parole, discorsi e promesse che, alla luce di queste tragedie lasciano solo amarezza e dolore.

#Quella volta che…ho visto la mia amica con un livido sul viso e l’ho accompagnata di corsa in un centro antiviolenza. 

# Quella volta che…ho deciso di non girarmi dall’altra parte, e fingere che non fosse un problema mio.

#Quella volta che…ho visto la rinascita di una meravigliosa e fantastica donna.  Non era sola. Lei ce l’ha fatta.

 

 

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