Processo alle intenzioni non serve tradire per essere colpevoli
Nell’era 2.0 la nostra vita sempre più spesso si svolge anche sulla rete, ed in particolare sui social. Chi di noi non ha un profilo Instagram, Facebook, Twitter? Ma siamo consapevoli dei rischi che la nostra realtà parallela comporta?
E che influenza possono avere i social nella sfera personale e, nel nostro caso, su un matrimonio?
È di questi giorni la pubblicazione della prima sentenza della suprema Corte di Cassazione sul tema: la sentenza n. 9384/2018. Cosa dice la sentenza? In sostanza apre la porta al concetto dei tradimenti a mezzo social.
Negli ultimi anni nelle cause per separazione o divorzio si assiste alla produzione sempre più massiccia di stampate tratte da Facebook, Istagram ecc., che hanno sostituito l’utilizzo del classico investigatore privato, seppure con alcune limitazioni. Finora però da queste immagini si doveva ricavare la prova del tradimento da cui deriva l’addebito con tutte le conseguenze del caso.
La Cassazione adesso ha stabilito che si può considerare tradimento anche la semplice iscrizione del coniuge ai siti di incontri al fine di fare conoscenze femminili o maschili sul web – su App quali Tinder, Meetic, Once ecc.-: questo è sufficiente a considerare rotto il vincolo di fedeltà sul quale si fonda il matrimonio. In sostanza, portando avanti il concetto della Cassazione: non serve più produrre la prova né del tradimento né dell’interesse del marito/moglie per altre donne/uomini “reali”, basta l’intenzione o meglio la consapevolezza e la volontà di cercare compagnia fuori dal matrimonio.
Facile intuire le potenzialità deflagranti della pronuncia. Staremo a vedere come si comporteranno in proposito gli avvocati e le corti di merito.
Anna Santini
è un avvocato, vive e lavora a Firenze dove svolge la sua attività principalmente nei settori del diritto di famiglia e diritto del lavoro.