1 Settembre 2018

Ognuno ha percorso il proprio cammino. Lettera a GenGle

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UOMOSOLOE poi, ad un certo punto della serata, dopo aver aiutato a raccogliere 127.000 pezzetti di vetro temperato, mi sono seduto. E vi ho osservati. Tutti. Ho guardato Tutankamon e Luigi e It e la lettera viola di GenGle e il pirata e il pagliaccio (ridi, pagliaccio!) e l’ape Maia e insomma tutti gli altri, che adesso dopo la seconda birra che mi sono fregato non me li ricordo più e sono stato un po’ malinconico. Ero malinconico perché prima ero stato felice. Ero malinconico perché la felicità che avevo provato, e che immagino avessero provato tutti, era stata pagata con il sangue, immolato sull’altare di una sofferenza pazzesca.

Ognuno ha avuto la propria, di dose, perché anche chi ha lasciato ha sofferto e magari ha lasciato perché soffriva. Ognuno ha percorso il proprio cammino, ha imboccato la propria strada, e le strade di tutti questa sera, come anche altre volte in passato e in futuro, si sono inesorabilmente intersecate. C’è chi è arrivato alla fine, chi ha ancora strada davanti, chi è appena partito.

Sono entrato in GenGle quasi un anno fa perché non sapevo che altro fare. Non sapevo come combattere la solitudine, una pazzesca ferita narcisistica, la mancanza di risposte ad un miliardo di domande. Cercavo qualcosa da fare con le mie ragazze e la compagnia di persone che non mi facessero sentire un “compatito”, perché se tutti avevamo affrontato lo stesso problema tutti ci guardavamo con gli stessi occhi.

I miei amici mi hanno sempre voluto bene, ma gli occhi del “poveretto”, gli occhi del “come va? E le bambine?” proprio non riuscivo a reggerli. Oggi, a quasi un anno di distanza, tutto è cambiato. Due parole mi fanno compagnia ogni giorno: “consapevolezza” di ciò che voglio essere e “perseveranza” nel tagliare quei traguardi. Ho con le mie figlie un rapporto eccezionale, migliore rispetto a prima, e di molto; la rabbia che non ho mai espresso più di tanto è stata spostata nel lavoro, dato che sgobbo mai meno di 50 ore a settimana; la sofferenza ormai non abita più in me da un pezzo e anche se vado ancora dalla psicoterapeuta so che lo faccio perché voglio essere accompagnato fino al divorzio, ma che se anche smettessi non sarebbe più come prima, quando mi mancava il fiato. Da quando è iniziato, come lo chiamo io, il Disastro, sono stato felice solo tre volte. Sereno tantissimo, ma felice solo a novembre, quando abbiamo fatto l’Escape Room, settimana scorsa in Franciacorta e stasera. Tre volte in due anni può sembrare poco, ma due sono arrivate di seguito, negli ultimi 8 giorni.

Questo è tanto, per cui mi sono reso conto di una cosa: finalmente sono tornato ad essere vivo e ho deciso di dare tanto a questa comunità.

Qualche giorno fa parlavo con mia zia di GenGle, delle cose che vengono fatte e della solidarietà reciproca che ci accompagna. Mia zia è stata tra le prime a seguire Don Giussani quando ancora il movimento si chiamava Gioventù Studentesca. Mi sono seduto lì e le ho raccontato di GenGle, i 3.500 eventi a livello nazionale, le amicizie, l’empatia. Quando ho finito di rovesciarle addosso tutto quanto, mi ha detto: ” è esattamente ciò che Giussani diceva dagli anni 60 e che solo parzialmente, se non in contesti sporadici, si e’ riusciti a fare”. Non siamo una corte dei miracoli, no, siamo una realtà che si è trovata per motivi comuni, ma che poi ha intrapreso un proprio percorso di riconoscimento all’interno della società.

GenGle, se non lo è già, sarà un giorno un neologismo riconosciuto dall’Accademia della CruscaGenGle sarà sempre più una comunità di persone che magari non sa nemmeno perché, ma che per le persone della comunità dà quel quid in più quando è necessario. GenGle è accoglienza delle persone in difficoltà, e’ ascolto, non-giudizio, leggerezza. GenGle è svago GenGle è soprattutto amore

Andrea Smidili

 

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