1 Settembre 2018

Davanti allo studio legale

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Eccomi qui, le 17.59 , davanti a questa porta, la targa in ottone “Studio legale”, c’è voluto relativamente poco, dall’ultimo “ti amo” ricevuto a questo campanello che non mi decido a far squillare, sono passati meno di 5 mesi, eppure sono pronto da molto di più, da quando ho capito che in noi qualcosa si era rotto, che l’orgoglio della persona che avevo di fianco non le avrebbe permesso di perdonarmi e soprattutto di perdonarsi.

Ormai pensavo da tempo a cosa sarebbe stato meglio per noi e per i nostri figli: accontentarsi di rimanere accanto come separati in casa, spegnendoci lentamente e riempiendo di silenzi la vita dei nostri figli o tentare di ripartire con una nuova vita impedendoci che quella vecchia ci incattivisse e imbruttisse?

Guardo il mio dito, guardo il campanello: “dovrei curarmi di più quelle unghie da quando ho ricominciato a rosicchiarmele…” “chissà quante dita hanno suonato a questa porta, con chissà quali storie, eredità contese, liti condominiali, incidenti stradali…

Mi ricordo quando mi hai chiamato con la macchina bloccata in mezzo ad un incrocio, ci conoscevamo da poco eppure nonostante la mia poca dimestichezza con le auto sono stata l’unica persona che è venuta in tuo soccorso.  A pensarci bene ero sempre io a correre in tuo soccorso, fosse il lavoro, un litigio con i tuoi, non sto dicendo che tu non mi abbia amato, ma forse era asimmetrico il rapporto. 

Anche questa volta in fondo sono io davanti al campanello di questa elegantissima porta prima di te.

Certo che questo zerbino è proprio consumato, pulito ma consumato, forse alla fine è consumato come me, si forse è anche più pulito di me, o forse è stato proprio quell’amore che si è consumato poco a poco a renderci meno puliti.

Oggi ho ritrovato le nostre lettere, i nostri messaggi, per anni abbiamo tenuto accesa quella fiamma poi, ho iniziato a pensare che forse stavo elemosinando  qualcosa, che sentirmi come quella persona che è sempre e comunque là, scontatamente a disposizione, non mi andava più, ne abbiamo parlato, è vero, ma forse avevamo già smesso di ascoltarci. 

Dietro di me c’è uno di quegli ascensori vecchi, quelli in cui le porte le devi aprire e chiudere e basta che un’anta sia leggermente socchiusa che si fermano.

Mia mamma ha detto che non ci si separa alla prima difficoltà che bisogna insistere e sforzarsi… “e chi ti dice che non l’abbia fatto?“… Papà per fortuna è più pragmatico e sa senza bisogno che glielo dica che ci ho provato e questa è l’unica via di uscita… “ma i ragazzi?“… Loro ci hanno visti seduti a quella tavola che per anni è stata ogni sera un momento di festa in silenzio con lo sguardo basso e hanno capito che qualcosa era cambiato e si sono fidati quando insieme abbiamo detto loro che avrebbero avuto due case al posto di una sola, speriamo che la loro fiducia sia ben riposta. 

Lucida quella targa, chissà quanto lavoro per farla così bella, ma sembra vecchia e quella lì è una ditata. Quanto tempo per costruire qualcosa e poi basta un dito per renderla parte del passato.”

Ore 18:00. Driiin.

Lucenzio Domato

CAMPANELLO

 

 

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