1 Settembre 2018

Il concetto di famiglia per noi separati

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La casa in cui vivo ora si è trasformata insieme ai cambiamenti che ho affrontato in questi anni.

L’appartamento, al quinto piano di una palazzina anni 70, nella zona più vintage della mia città, si è evoluto insieme a me, in questo periodo di grandi trasformazioni. I mobili che ho comprato, gli spazi che ho occupato e le scritte sui muri rappresentano un pezzo di questa strada in cui sto camminando, insieme ai miei figli e alle poche persone davvero importanti per me.

Da qualche giorno, dopo tanto tempo, ho improvvisamente ripreso a cucinare. La stanza che identifica di più la famiglia è sicuramente la cucina. Mangiare, dopo una delusione amorosa, diventa davvero difficile. Quando ti delude la vita, è quasi impossibile. L’ho provato sulla mia pelle. I cibi non hanno più sapore, la tua lingua non percepisce più nemmeno la dolcezza del cioccolato e mangiare diventa non indispensabile. Si riesce ad andare avanti come un automa per giorni, settimane intere, avendo nello stomaco poco più di un centinaio di calorie. Non pensi a nutrirti, non lo ritieni così importante, e insieme alle lacrime che sgorgano a fiumi in ogni momento poco opportuno, senti un senso di vuoto e di dolore che nulla riesce a quietare. Devi solo stare ferma ed aspettare che tutto quel male ti travolga e ti attraversi. Io continuavo a domandarmi a voce alta perché doveva fare così male, senza trovare una risposta, stringendomi il petto e lasciandomi cadere senza forza, addormentandomi così, sola, dov’ero. E mi ritrovavo, al mattino, miracolosamente sopravvissuta a me stessa.

Mi è capitato, d’improvviso, di aver voglia di cucinare, come facevo prima del divorzio. Così, senza preavviso, comprare la verdura di stagione al mercato sotto casa e ritrovarmi a preparare qualcosa di speciale per chi ancora condivide questo tetto insieme a te. E’ come andare in bicicletta dopo tanto tempo: all’inizio ci si sente ridicoli e inadatti, poi il corpo si ricorda di averlo sempre fatto e diventa d’un tratto naturale, come respirare. Noi donne siamo fortunate, nella maggior parte dei casi ci portiamo dietro la quotidianità dei nostri figli e, anche se nei primi anni è di una difficoltà esponenziale riuscire a conciliare i nostri sensi di colpa con i loro bisogni primari, alla lunga ci permette di avere un forte centro di gravità che ci àncora a terra, senza perderci.

D’improvviso non mangiamo più in piedi davanti ai fornelli ma  ci sediamo a tavola con loro, come una famiglia vera. Finalmente lo sentiamo, lo siamo in questo momento ma lo siamo sempre stati, indipendentemente dal numero dei componenti. Si chiacchiera della scuola, della giornata al lavoro, della cucciolata di gattini dell’amico e i ragazzi chiedono di tenerne uno. Si ride, ci si passa la bottiglia dell’acqua, si litiga per andare per primi a fare la doccia. Mangiare insieme fa sentire meno soli e non c’è niente di male a non voler vivere da eremiti. Posso saper gestire la mia individualità, in modo adulto e maturo, ma non mi piace che mi trascini in un mondo che non mi appartiene. Voglio avere una casa piena di persone, scarpe in corridoio e montagne di vestiti da lavare. Avere partite di pallavolo a cui fare il tifo e preparare il terzo tempo per i match in casa di mio figlio. Mi piace occuparmi delle persone che amo e credo che sia un grande valore aggiunto, non lo voglio più vivere come una caratteristica a tratti negativa, come più di qualcuno mi ha fatto notare. Occuparmi di loro significa anche fare la spesa e cucinare insieme ogni volta che ce n’è la possibilità. Sentirli parlare delle loro giornate, capire le problematiche, creare quella intimità che solo una cucina può magicamente costruire. Mettere le mani in pasta per modellare anche le loro scelte, coerentemente ai valori che spero di trasmettere. E ascoltare, con la calma e la tranquillità che non ci è premessa ogni giorno ma che cerchiamo di ritagliarci ogni volta che possiamo. Sono piccole e semplici abitudini che io non trovavo più da quando, perdendo mio marito, avevo perso anche me stessa.

Dal divorzio ho ritrovato questa parte di me molto semplice, quasi elementare. Mi piace la famiglia, in ogni sua forma. Trapezoidale, romboide, quadrata oppure sferica, che gira sempre su se stessa e non ha inizio e non ha fine. Desidero condividere ma mi piace il silenzio del dopo cena, in cui posso ascoltare la mia musica preferita e bere la camomilla, senza miele e senza zucchero. Amo leggere e sognare, guardando dalle vetrate di casa mia. E mi addormento ascoltando il televisore del vicino ma non potrei mai e poi mai chiedergli di abbassare il volume, per me è come avere un cugino amante del calcio e dei film d’azione nella stanza accanto. Mi alzo presto e ogni tanto penso che non riuscirò ad affrontare la giornata, ma poi vado a preparare la colazione e inizio dal primo “Buongiorno”, senza pensarci troppo. O almeno ci provo. Le difficoltà sono tante ma arrivata a questo punto credo anche di poterle affrontarle, e di poterci provare meglio di quanto io stessa abbia mai potuto immaginare. Non significa riuscirci, ma almeno non mollare mai la presa, nonostante tutto, pronta per questo percorso che mi porterà verso nuovi orizzonti inesplorati.

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